Cristoforo Colombo, pur imbattendosi in quell’alberello dal tronco e dai rami pieni di grossi frutti simili a grandi uova brune, non gli diede molta importanza... Fosse stato per lui non avremmo mai mangiato un buon cioccolatino!
Già dai primi viaggi degli europei nel Nuovo Continente, infatti, ci si accorse che gli indigeni ri- cavavano dai semi contenuti in quegli strani frutti, dalla buccia dura come il cuoio, una bevanda ritenuta afrodisiaca. D’altronde già dai tempi dei Maya e degli Aztechi il cacao era considerato una “cibo da dei” e quando un altro conquistatore, Francesco Cortès si accorse delle grandi po- tenzialità di questi semi, gli europei decisero di mantenere tale nomignolo per la pianta del cacao: Theobroma Cacao. 

Questo albero che cresce solo fra i due tropici, in America come in Africa e in Asia, di norma non supera i sei metri di altezza e si divide in due principali varietà: il Criollo e il Forastero (un po’ più pregiato il primo, un po’ più resistente il secondo); c’è poi una terza varietà che è più un ibrido fra le prime due: il Trinitario. 

Giunti a maturazione, in questo l’occhio del contadino è fondamentale, i grossi frutti (chiamati Ca- bosse) contengono una quarantina di semi, tutti immersi in una placenta bianca dal gusto anche gradevole. Inizia da qui la lunga lavorazione che porterà al cioccolato. 

Diciamo subito però che, purtroppo, ben pochi coltivatori di cacao avranno modo di assaggiare il prodotto finito. Infatti nelle terre di coltivazione ci si limita a preparare i semi per essere imballati e spediti nei paesi industrializzati dove avviene la produzione del cioccolato. Una recente maggiore attenzione per i paesi coltivatori, ha implementato l’idea del consumo equo e solidale che rap- presenta un tentativo di rimediare alle grandi contraddizioni ed effetti perversi che caratterizzano i rapporti fra chi coltiva il cacao e chi lo trasforma in cioccolato. 

Come tutte le cose, per ottenere un buon cioccolato c’è bisogno di tempo e di un particolare procedimento di lavorazione. Una volta raccolti i frutti ed aperti con un colpo secco di machete, i semi vengono liberati dalla placenta e fatti fermentare in ambienti con poca aria (es. sotto terra). 

Questa fase (detta “anaerobica”) dura meno di una settimana, ma è importantissima perché i semi inizino a produrre i precursori dei 500 aromi presenti nel cacao.

Alla fine del periodo di fermentazione, inizia la fase di essiccazione (fase “aerobica”), fondamenta- le per eliminare l’umidità dai semi e permetterne la conservazione. Il modo migliore per espletare questa fase resta sempre il sole e l’aria aperta (tempo permetendo!). I semi, che da qui in avanti prendono il nome di fave, hanno perduto la metà del loro peso e sono adesso pronti ad essere imballati in sacchi di juta. Da ora in poi le fave del cacao lasceranno le loro terre di nascita per approdare nei luoghi dove verranno trasformati in cioccolato. 

1) Una volta arrivati in fabbrica, i sacchi di juta vengono aperti e le fave subiscono un’altra fase di pulitura per essere liberate da eventuali impurità. Questo procedimento permette anche di stac- care la buccia che ricopre le fave del cacao.

2) Il secondo “step” è quello della tostatura (o torrefazione) delle fave. 

3) Si passa così alla macinazione: le fave vengono ridotte in granella e la buccia viene aspirata ad aria. Sembrerà strano, ma il risultato della completa macinazione delle fave è una massa liquida di colore marrone del tutto simile ad una tazza di cioccolata calda. E’ ancora troppo presto! La forma liquida ottenuta dalle fave macinate si ha grazie al burro di cui sono ricche (burro di cacao). 

4) La quarta fase consiste nella pressatura della massa di cacao: questa massa liquida viene pressata fra grandi e caldissimi cilindri di metallo. Questo procedimento di “spremitura” porta alla sepa- razione del burro di cacao, che fuoriesce liquido e chiaro, dalla parte solida che prende ora la forma di grandi “torte”. Abbiamo così ottenuto i due principali semilavorati del cacao:
• BURRO DI CACAO, che da solo e con l’aggiunta di zucchero e altri aromi porta al cioccolato bianco. 
• PARTE SOLIDA, di colore bruno dalla quale si ottiene il cacao amaro in polvere 

5) A questo punto però vogliamo sapere come si arriva ad ottenere una bella stecca di cioccolato fondente. Mediante la pressatura abbiamo il burro di cacao e le “torte” di cacao. A questi due componenti si aggiunge la lecitina di soia, un ingrediente naturale che ha diversi scopi: emulsio- nare le tracce di umidità, abbassare la viscosità e aumentare la fluidità. 6) Il prodotto così ottenuto passerà poi al concaggio, ovvero attraverso una macchina che sbat- tendo il liquido sulle pareti facilita la fuoriuscita dal prodotto di parte delle sostanze acide, ma non ne muta gli aromi. 

7) Siamo arrivati alle battute finali del lungo procedimento della produzione del cioccolato. Manca un ultima fase: il temperaggio. Questa fase serve a dare ai cristalli del burro di cacao una forma stabile. Il cioccolato che esce dal concaggio alla temperatura di circa 40°- 45°C passa poi nella temperatrice che ne abbassa la temperatura a circa 28° per poi riportarla, piuttosto velocemente, a circa 31°.
 Lo choc termico subito dal prodotto riduce i cristalli instabili del burro di cacao. 
Grazie a questo processo il cioccolato acquisterà in lucentezza, conservabilità e consistenza.Il cioccolato liquido sarà poi versato in stampi d’acciaio che verranno fatti avanzare su un nastro sottoposto a vibrazioni continue con lo scopo di eliminare il più possibile le bolle di aria all’inter- no della tavoletta. Infine le forme attraverseranno un tunnel di raffreddamento in cui il cioccolato solidificandosi si contrarrà ottenendo una massa fredda e ben lucida che si staccherà con facilità dagli stampi. 

E finalmente abbiamo ottenuto un buon cioccolato fondente (si chiama così perché si fonde in bocca!). Un sacco di altri ingredienti concorreranno ad aumentare la smisurata offerta di prodotti al cioccolato: a partire da quello al latte o quello gianduia, con pasta di nocciole. 

La qualità del cioccolato è messa a repentaglio, fra l’altro, da discutibili scelte legislative (cfr. box sopra). Sapere qualcosa in più su come si ottiene, è di grande aiuto per aiutare gli amanti del cioccolato (e chi non lo è?!) a scegliere e consumare questo “antidepressivo naturale” in modo consapevole.

Link Articolo : www.e-coop.it